La scrittrice Valeria Parrella guida il pubblico del Festival alla scoperta del mito di Prometeo, che fece dono della conoscenza agli uomini e che oggi da il nome allo spazio di incontro al centro del cortile del Politecnico
Le note di Ancora fuoco di Renato Zero aprono l’incontro con la scrittrice Valeria Parrella al Festival. È il modo per spiegare al pubblico perché la geodetica nel cortile del Politecnico si chiama così: spazio “Prometeo”, come l’album di Zero da cui è tratta la canzone. Valeria Parrella racconta la sua versione del mito di Prometeo, della scoperta del fuoco e della trasmissione della conoscenza agli esseri umani.
Prometeo è una figura mitologica che ha sempre alimentato, per diversi motivi, l’immaginario dell’umanità. In tutte le epoche il titano è stato rappresentato in molti modi. “Non è esattamente un mito – spiega Parrella – ma un ‘mitogema’, perché la sua storia cambia nel tempo”, adattandosi alle epoche e alle esigenze. “Tutto quello che gli uomini sanno viene da Prometeo - sottolinea la scrittrice mostrando l’iconografia del racconto mitologico – e agli uomini è sempre piaciuto narrare Prometeo: da Eschilo a Leopardi, dalle ‘creature di Prometeo’ di Beethoven a ‘Frankenstein’ di Mary Shelley, fino ai giorni nostro e, perché no, fino a Renato Zero”.
Si tratta di un mito fondativo, così come la storia raccontata nella Genesi biblica – con cui la storia di Prometeo per molti aspetti si interseca – vale a dire un racconto che l’umanità si è data per spiegarsi da dove viene. Prometeo è stato varie cose, viene narrato in tanti modi e, di conseguenza, è soggetto a una costante interpretazione.
Prometeo è figlio di un titano, così come Zeus. Il suo nome significa “colui che vede prima”, il “veggente”. Al contrario, suo fratello si chiama Epimeteo, “colui che vede dopo”. Prometeo può entrare nell’Olimpo a suo piacimento e vede nascere Atena, dea della conoscenza, partorita da una ferita sulla testa di Zeus, e rimane entusiasta dell’evento a tal punto da dover rendere omaggio alla neonata con un’impresa eccezionale. Prometeo chiede dunque a suo cugino Zeus di poter generare l’essere umano. Ovidio ce lo racconta nelle sue Metamorfosi.
Al titano non basta però fabbricare l’umanità, ma vuole trasmettere agli esseri che ha creato qualcosa che li renda diversi e superiori rispetto agli altri animali. Per questo decide di regalare loro il fuoco. Si comporta come un padre, come il genitore che è: il suo primo pensiero è come far vivere meglio i suoi figli, anche usando mezzi disonesti, come l’inganno ai danni del cugino. Zeus si infuria e decide di punire Prometeo e l’umanità per il gesto di insubordinazione. Prometeo viene condannato al supplizio eterno e l’umanità è obbligata a rendere omaggio agli dei attraverso il culto.
È un racconto che si presta a essere adattato secondo i tempi e le esigenze umane di trovare un senso nelle cose. Ancora oggi, nello Spazio Prometeo al centro dell’Ateneo, ci ritroviamo per confrontarci sulle scoperte dell’ingegno umano e cercare di prevedere quale sarà il nostro futuro.