L'era avventurosa dell'archeologia ha lasciato spazio alla tecnologia. Gli archeologi oggi sono dei veri e propri scienziati, che applicano le nuove tecnologie per studiare il nostro passato
Nell’immaginario di molte persone l’archeologia è legata alle eroiche scoperte in ambienti ostili, ai ritrovamenti di tombe o scheletri misteriosi, ai film di Hollywood e a libri di avventura. Il mestiere dell’archeologo è sicuramente affascinante, ma è sempre stata una professione per scienziati ed è sempre di più una professione per tecnologi.
Al Festival si parla anche dell’utilizzo delle tecnologie avanzate nello studio dei reperti. Enrico Ferraris conduce il pubblico alla scoperta di “Archeologia invisibile”, la mostra che lui stesso ha curato per il Museo Egizio di Torino.
L’esposizione spiega come, grazie alla tecnica dell’archeometria, gli archeologi siano in grado di osservare dettagli che i nostri occhi non potrebbero vedere ed esplorare la dimensione della materia stessa degli oggetti rinvenuti nelle spedizioni, per estrarre informazioni altrimenti impercettibili.
Il percorso della mostra racconta l’Antico Egitto attraverso il linguaggio della scienza e porta anche una riflessione più generale sulla natura degli oggetti rinvenuti. Ferraris parla della posizione delle istituzioni museali nella disputa sul rapporto tra dimensione materiale e dimensione digitale.
Citando l’antropologa Haidy Geismar, Ferraris sostiene che “Dobbiamo pensare il digitale non solo come materiale, contrapposto all’immateriale, ma anche come una traiettoria particolare della materialità, che collego la nostra comune comprensione del digitale all’analogico, l’informazione alla materia, il sistema alle strutture, la conoscenza alla forma”. In pratica, il digitale non è per niente qualcosa di immateriale, ma profondamente legato alla materia e consente una maggiore comprensione di quest’ultima.
Ferraris porta l’esempio della mostra “Magister Canova”, ospitata dalla Scuola Grande della Misericordia di Venezia. Un’esperienza di fruizione unica della storia personale e artistica di Canova attraverso riproduzioni in 3D delle sue opere. Arte immateriale, ma fortemente materica e “presente”.
Con i reperti dell’Antico Egitto un “trattamento” tipico e molto usato è l’analisi dei pigmenti di un oggetto per capire come è stato fatto e quanti strati di colore siano stati applicati su di esso. I raggi ultravioletti rilevano la composizione chimica del colore usato, evidenziando la diversa tonalità di un certo frammento, confrontandolo con altre parti dell’oggetto.
Si tratta di un vero e proprio salto nel futuro per l’archeologia, che oggi grazie alla tecnologia ha la possibilità di svelare gli ultimi misteri sui più importanti reperti della storia, così come modi di vivere e semplici abitudini dei popoli del passato.
Un’enorme quantità di dati che modifica radicalmente l’esperienza sia dei professionisti del settore, sia del pubblico che visita i musei, ma anche una prospettiva completamente nuova sulle prossime sfide della ricerca e sul potenziale della nostra esistenza “post-digitale”.