La diffusione sempre più pervasiva della comunicazione su Internet sta modificando anche il nostro modo di esprimerci. Linguisti ed esperti di social media sono di fronte alla nascita di un nuovo idioma: l'italiano del web
Il digitale ha cambiato il modo in cui usiamo la lingua. Non è un modo di dire ma uno degli effetti del nostro comportamento online, del tempo che spendiamo su Internet e utilizzando i dispositivi elettronici.
La lingua italiana si è evoluta, negli ultimi tempi, anche seguendo la rete e le nuove tecnologie. Ma esiste davvero un “italiano di rete”, un “e-taliano”?
“Il nostro modo di esprimerci cambia a seconda dell’interlocutore, del tema e dell’ambiente – spiega Elena Pistolesi, autrice e docente di Linguistica all’Università per stranieri di Perugia – L’italiano della rete potrebbe essere una varietà della nostra lingua, o piuttosto un agglomerato di varietà linguistiche, così come lo è l’italiano utilizzato in ambito scientifico oppure negli ambienti formali”.
La scrittura si è rimpicciolita, “miniaturizzata”, per entrare nella comunicazione rapida. Si è piegata a una serie di utilizzi che prima non erano previsti, come la velocità di scrittura necessaria per comunicare in tempo reale. Oggi scriviamo nelle situazioni più disagiate – con la musica nelle orecchie, mentre camminiamo, per esempio – e abbiamo perso quell’elemento di sacralità che scrivere ha sempre avuto per noi: la concentrazione richiesta per elaborare un testo.
Le aspettative riguardo alla comunicazione sul web si sono scontrate con una realtà ben diversa e ben più complessa da gestire. “Quando è arrivato Internet, si pensava che avremmo comunicato con le macchine – dice Mirko Tavosanis, docente di Linguistica all’Università degli Studi di Pisa – In realtà alcuni avevano già capito che non sarebbe stato così. Era infatti ingenuo pensare che le macchine avrebbero capito quello che avremmo detto, a meno di non scriverlo in uno dei linguaggi di programmazione”.
Ancora oggi i computer vengono usati come messaggeri, però nuovi strumenti, come le assistenti virtuali di Google e Amazon, stanno cambiando le cose, passando da un ruolo passivo a una timida e semplice interazione. “Questi sistemi non hanno alcuna intelligenza – sottolinea Tavosanis – almeno per come la definiamo noi. Riescono però a fare delle cose che prima pensavamo essere possibili solo in presenza di un essere umano a manovrarle. Ci sono voluti 70 anni di evoluzione perché un sistema elettronico fosse in grado di trasformare il discorso di una persona per usarlo come forma di dettatura o interagendo in modo complesso”. Per questo motivo oggi una parte consistente della nostra comunicazione può essere automatizzata facilmente, perché non richiede una particolare intelligenza. In alcuni casi gli esiti sono tecnicamente sorprendenti: la traduzione automatica, per esempio, è un esempio applicazione tecnologica prima impensabile.
Oggi i problemi tra tecnologia e linguistica sono rappresentati dal trattamento dei dati, un tema che sfocia nella politica. Un altro problema è quello del deficit dell’attenzione: le forme di lettura online, a volte assistita dalla traduzione o frutto di una scorsa veloce allo schermo, semplificano troppo il gesto del lettore. Oggi bisogna registrare una reazione di rigetto: per esempio sempre più studenti richiedono testi cartacei per evitare distrazioni.
Il 92 per cento degli italiani utilizza Internet. “Parlare dell’italiano della rete è come parlare dell’italiano usato dagli italiani – sottolinea Vera Gheno, sociolinguista esperta in comunicazione digitale, responsabile degli account social dell’Accademia della Crusca – Abbiamo l’impressione che la rete abbia provocato un peggioramento della capacità di usare la lingua, ma questa è una falsità. Non c’è mai stato un momento in cui gli italiani abbiano scritto o parlato meglio di oggi”.
Spesso in rete si vede l’italiano “della lista della spesa”, approssimativo. Inoltre non vedendo l’interlocutore in faccia, talvolta si usa un italiano quasi violento, come quando si è alla guida. Il web toglie dalla conversazione l’elemento della presenza fisica, che include mimica facciale, gestualità, tono della voce. Questa “nudità” crea fraintendimento. “Spesso capita di usare l’italiano che adoperiamo in casa – aggiunge Gheno – E quando usiamo i social non ci accorgiamo di non essere in salotto, ma su una terrazza: gli altri ci vedono e dobbiamo sapere che quello che scriviamo è pubblico. Tutti sbagliamo, ma dobbiamo imparare a convivere con l’ingombrante bagaglio di informazioni che ci riguarda. La parola acquisisce la caratteristica della permeabilità, a cavallo tra online e offline, tra passato e presente, tra privato e professionale”.
Il tema del linguaggio violento del web è sempre più all’ordine del giorno, anche tra i fatti di cronaca. “Chi fa disastri online può avere qualunque età, ma chi non è cresciuto con i mezzi elettronici e si è trovato catapultato su Internet sbaglia di più, in percentuale – chiarisce Gheno – Si possono mettere dei filtri nella comunicazione social, ma siamo diventati bravi anche ad aggirarli. Spesso ci sono delle incongruenze in questi strumenti di ‘sicurezza’: per esempio il contesto in cui viene usato un certo termine lo rende a volte neutro, a volte un insulto pesante”.
I problemi relazionali, anche su Internet, vanno risolti dagli esseri umani che entrano in relazione tra loro. “Bisogna imparare a ragionare su quello che diciamo – conclude Gheno – e capire quando è giusto parlare e quando stare in silenzio”.