Incontro “Dio, i social e la parabola digitale” con Davide Sisto, don Luca Peyron e Massimo Leone: “La cultura digitale deve essere innervata di generosità”

Sab, 9/11/2019 - 21:48

Facebook è il più grande cimitero del mondo. Sono più di 50 milioni i profili degli utenti deceduti negli ultimi 15 anni. Non è una novità per Internet: il primo world wide cemetery era nato già nel 1995 ad opera del canadese Mike Kibee. Oggi però il fenomeno sta diventando sempre più rilevante.

Ha inaugurato così l’incontro al Circolo dei Lettori il filosofo e tanatologo Davide Sisto, dove ha dialogato con Massimo Leone, docente di Semiotica dell’Università degli Studi di Torino e don Luca Peyron, direttore della Pastorale Universitaria di Torino: “Siamo in una società che tende a rimuovere la morte dalla nostra quotidianità, non se ne parla. Da quando si sono diffuse le tecnologie digitali e i social si sono create delle situazioni particolari. Nuove ritualità che stanno modificando gli approcci tradizionali – spiega Sisto -  paradossalmente la morte entra nella quotidianità ogni volta che sui social ci imbattiamo nel profilo di qualcuno che non c’è più. Ma allo stesso tempo si corre il rischio che l’assenza di temporalità del mondo digitale ci aiuti a rimuoverla dal nostro orizzonte. Gli spettri digitali continuano a mantenersi in vita”.

La cultura digitale sta cambiando il nostro modo di rapportarci rispetto al credere, al vivere e al morire e per don Luca Peyron: “Governare la rivoluzione digitale rispetto a questi temi significa parlarne e ricercare un equilibrio tra la fisicità e il bisogno antropologico di trascendenza. In un mondo sempre più digitalizzato e computazionale. La cultura digitale per rimanere antropica deve essere innervata di generosità”.

Il rischio da evitare è però quello di scadere in un determinismo socio-tecnologico, come ha sottolineato il professor Massimo Leone: “Sarei prudente nell’enfatizzare l’impatto della tecnologia nei cambiamenti socio culturali. Oggi si dice che gli adolescenti non si parlano più perché troppo impegnati con gli smartphone. Io ribalterei il rapporto, la tecnologia si inserisce in tutti quegli spazi che oggi vengono lasciati vuoti. È la stessa cosa che hanno fatto le religioni. Probabilmente i monoteismi non si sarebbero mai sviluppati senza l’ausilio di quella grande invenzione tecnologica che è stata la scrittura”.

E infatti online si moltiplicano gli spazi di condivisione anche quando si parla di morte o di malattia: “Pensate alle pagine Facebook dedicate a chi non c’è più o ai cancer blog in cui i malati condividono gli aspetti della malattia – fa notare Sisto – sono tutti casi in cui le tecnologie digitali sopperiscono a una mancanza. Si crea una comunità online permanente attorno a un fenomeno che nella vita di tutti i giorni ha una durata limitata”.

Il compito dell’uomo davanti alla digitalizzazione è quello di mantenere chiara la distinzione tra se stessi e le macchine come ha spiegato Massimo Leone: “Gli algoritmi non capiscono la differenza tra il ricordare qualcuno quando è in vita e il ricordarlo quando non c’è più”.

Infatti la digitalizzazione “ha creato una diminuzione consistente della nostra fatica quotidiana per esistere. L’aspetto negativo è che queste tecnologie diminuiscono la nostra capacità di empatizzare, ascoltare e gestire i conflitti nelle relazioni.  Gli algoritmi ci restituiscono un mondo senza conflitti perché ci chiudono nella nostra bolla. Ma la fatica è necessaria al nostro stesso essere umani. Ci aiuta ad affrontare l’idea della morte come parte necessaria della vita”, ha concluso don Luca Peyron.

Francesca Sorrentino (futura.news)

È disponibile la registrazione integrale dell'incontro.