L'umanità dipende dalla tecnologia da sempre. Ma questo legame produce benessere o disperde energie utili ad altri scopi? Marco Fasoli e Stefano Moriggi si interrogano sul buonsenso da applicare alle prospettive dell'innovazione

Sab, 9/11/2019 - 14:00

Nelle nostre vite quotidiane, spesso ci troviamo davanti a delle scelte che riguardano la tecnologia e il suo impatto sul benessere. Queste scelte sono spesso affrontate facendo appello al buonsenso, a ciò che appare intuitivamente opportuno. La relazione tra benessere e tecnologie digitali può sembrare scontata, se consideriamo il lungo percorso evolutivo di cui è stata protagonista l’umanità, ma l’indagine su questo legame porta a discutere il profondo significato della nostra esistenza oggi.

Su questo tema si sono confrontati al Festival Marco Fasoli – ricercatore del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Milano-Bicocca – e Stefano Moriggi - docente di Società e Contesti Educativi Digitali all'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia.

Si comincia da due domande fondamentali: Che cos’è il benessere? Davvero il buonsenso costituisce una guida affidabile per affrontare in modo efficace un fenomeno così complesso come quello dello sviluppo tecnologico?

Fasoli spiega che esistono diverse teorie relative al benessere, ma fondamentalmente si tratta di quello che ci fa stare bene e pertanto è soggettivo. Alcuni credono che sia proporzionale al benessere economico, ma è molto difficile stabilire un collegamento su base statistica: al contrario, dai numeri si capisce che il reddito non fa la felicità. “È la teoria del ‘rullo edonico’ – spiega Fasoli – secondo cui tendiamo a sostituire i beni che abbiamo con altri più costosi che, una volta ottenuti, ci appaiono d’un tratto svalutati, come se il loro valore soggettivo fosse diminuito dopo la conquista.”

Un altro concetto chiave è quello di “sovraconsumo”. “Un consumo che supera nei modi e nei tempi quello che il soggetto stesso desidera – dice Fasoli – e che viene a posteriori percepito come qualcosa che sottrae tempo ad altre attività, che l’individuo ritiene maggiormente significative”. Questo cos’ha a che fare con il buonsenso? In realtà dipende tutto dalla nostra forza di volontà. Un caso lampante è quello dell’utilizzo dello smartphone: con basso dispendio a livello cognitivo, riusciamo a intrattenerci per tutto il giorno. Questo causa una riduzione di interesse verso altre occupazioni, per esempio la lettura, un’attività che noi umani svolgiamo da oltre 5mila anni e nei confronti della quale il nostro cervello rischia di andare in grossa difficoltà. Per la maggior parte del nostro percorso evolutivo abbiamo vissuto senza tecnologie comunicative, mentre al giorno d’oggi ne siamo travolti. Da questo cambiamento di abitudini derivano una serie di problemi sociali, tra cui lo stesso sovraconsumo.

Per questo sempre più persone sentono di dover ricorrere a programmi di vera e propria “disintossicazione” dalla tecnologia, sottolinea Stefano Moriggi, ma in ogni caso l’”etica dell’astinenza” non è molto diffusa. Una mancanza di buonsenso giustificata dalla percezione che la tecnologia possa essere altro rispetto alla nostra persona e che un utilizzo moderato delle tecnologie sia la chiave per non cadere nella dipendenza.

Una sfida, quella alla “tecno-dipendenza”, che ha radici antiche. Moriggi fa notare come già Platone, nel Fedone, parlasse della scrittura come rimedio per la mancanza di memoria, come “protesi della memoria”, di cui diventa difficile fare a meno. Platone temeva la scrittura e metteva in guardia i suoi contemporanei da quel crescente fenomeno sociale, che avrebbe messo in crisi i ricordi degli esseri umani e i meccanismi stessi della nostra attività di pensiero.

In questa prospettiva “classica” la tecnologia ha una duplice valenza: è un “pharmacon”, al tempo stesso un medicinale che avvelena e un veleno che cura. Oggi il sintomo principale di questo “avvelenamento” potrebbe essere la difficoltà nel gestire la mole infinita di dati che viene messa a nostra disposizione. Siamo disorientati e facciamo fatica a distinguere fatti ed evidenze. Una realtà assurda, perché nel mondo digitalizzato diventa fondamentale conoscere quali siano le verità. La conseguenza, come scrive Alessandro Baricco, è che “continuiamo a ripeterci che la verità è ormai morta, perché non riusciamo più a controllarla.”