Al Festival apporda la riflessione sugli aspetti etici, legali e sociali dello sviluppo delle macchine e dell'intelligenza artificiale

Dom, 10/11/2019 - 13:00

Che cos’è un robot? Le macchine hanno una morale? Al Festival gli esperti del settore valutano l’impatto della robotica sui comportamenti umani e la possibilità di stabilire una vera e propria etica degli automi, in vista di una società sempre più dipendente dalle macchine.

La filosofa della scienza Viola Schiaffonati, lo scienziato esperto di robotica sperimentale Gianmarco Veruggio – che ha coniato il termine “roboetica” - e l’ingegnere elettronico Marcello Chiaberge hanno presentato al pubblico una panoramica completa degli ultimi ritrovati del settore della robotica: dai cosiddetti “robot di servizio” alle auto senza pilota, per finire con i robot concepiti per scopi militari, che possono mettere a rischio la sopravvivenza stessa dell’umanità.

La questione che si pone è prioritaria: bisogna lavorare per progettare robot che rispettino i principi etici della benevolenza e i concetti di autonomia e giustizia, anche in contesti di incertezza, evitando confusioni. Su questo tema si innesta anche il problema di fare leggi e regolamenti che diano una disciplina a questo ambito delicato.

La riflessione di Viola Schiaffonati parte dall’ultimo libro dello scrittore inglese Ian McEwan, Macchine come me, che racconta l’umanità partendo dall’intelligenza artificiale, dall’idea che ci siamo molto di umano nel cervello cibernetico dei robot. Un concetto non nuovo nella storia della scienza, come spiega Veruggio: “La robotica ha sempre cercato di costruire macchine intelligenti, anche se non necessariamente umanoidi. Un’idea forte anche nell’antichità e nella mitologia, visto che in molti racconti l’uomo sembra voler replicare sé stesso facendosi demiurgo, semi-dio”. Allora deve intervenire l’etica. Serve un codice di comportamento che implementi la morale umana e supporti chi sviluppa le macchine.

“L’idea di robot è spesso limitata al caso degli umanoidi – dice Chiaberge – soprattutto quando si comincia a parlare di etica connessa alla robotica. Storicamente, però, il robot lavora in azienda come semplice esecutore di azioni in sequenza. Ci sono poi molti esempi di robot non umanoidi, usati per gli scopi più diversi: telepresenza, svolgimento di operazioni ripetitive e pericolose, robot lavoratori. Da qui si sviluppa l’idea di robot capace di intraprendere un’interazione emozionale con l’essere umano, aprendo il campo addirittura alla robotica cognitiva, i cui pilastri sono appunto: percezione, cognizione e azione”.

La roboetica apre uno spazio nuovo per la ricerca e getta un ponte tra scienze umane e ingegneria. Questa nuova scienza non può applicare le regole delle scienze tradizionali così come sono. Per esempio bisogna tenere presente il “principio di precauzione”: finché non si è sicuri dei risvolti di una nuova tecnologia, bisogna astenersi dall’applicarla. Questo non sarebbe accettabile da parte della robotica.

“Inoltre bisogna considerare che i robot imparano – sottolinea Veruggio - L’etica delle macchine deve tenere presente gli aspetti del learning e dell’autonomia. Gli automi imparano gradualmente, assumendo informazioni in modo complesso, tanto che il loro comportamento rischia di diventare imprevedibile per i progettisti stessi. I robot possono arrivare ad agire seguendo direttive decise in autonomia, che nei casi più pericolosi può tradursi in una ‘autonomia letale’ dei cosiddetti ‘killer robots’. Se diventa impossibile controllare le azioni di una macchina, allora il principio di precauzione non serve più”.

Per affrontare questo problema, suggerisce Schiaffonati, bisognerebbe rifiutare il concetto di “determinismo tecnologico” – “la tecnologia non è un destino” tiene a specificare la filosofa – e iniziare una cooperazione concreta tra progettisti, tecnici del settore, società e politica. Questo è il senso dell’espressione “robot di servizio” secondo Chiaberge: “Robot di supporto ad anziani e degenti, capaci di riconoscere le persone e comprenderne i movimenti attraverso lo sviluppo della capacità cognitive, basate sulla raccolta di dati sensibili, per i quali bisognerà pensare anche a modalità di gestione sicure e trasparenti”.

Come si capisce, l’etica ormai è parte della robotica e viceversa. Fin dove può e deve spingersi il ruolo delle macchine nella nostra società?

La registrazione integrale dell'incontro