Nella storia della cultura, la tecnologia non è mai stata oggetto di indifferenza. Esaltato o detestato, il progresso della tecnica ha sempre suscitato sentimenti contrastanti, da prendere in considerazione per leggere la società di oggi

Dom, 10/11/2019 - 16:30

La storia di Primo Levi è ben nota. La sua parabola di vita e di produzione letteraria ci mette di fronte alle nostre paure e alle nostre mancanze di esseri umani, dandoci però gli strumenti per comprendere valori universali che fondano il concetto stesso di “umanità”. Eppure la lettura di Levi ci mette di fronte anche a una fortissima visione della tecnologia, a una visione etica dei suoi strumenti.

In un’epoca come la nostra, in cui la tecnologia è diffusa in ogni ambito della vita umana e pone dubbi sempre più profondi sulla convivenza tra innovazione e società, l’esempio di Primo Levi può aiutarci a fissare i limiti di questo rapporto e ad avere una visione positiva dello sviluppo tecnologico.

A partire da questa riflessione, gli ospiti dell’incontro si confrontano sul rapporto tra cultura e tecnologia, con esaltazioni e incomprensioni storiche.

“Durante la rivoluzione industriale vengono introdotte per la prima volta delle macchine per affiancare gli esseri umani nel lavoro – spiega Stefano Musso, docente di Storia contemporanea e Storia dell’impresa e del lavoro all’Università degli Studi di Torino – I lavoratori vedono questi strumenti da una parte come qualcosa di affascinante, ma dall’altra hanno il timore di esserne rimpiazzati”. È il momento in cui cominciano a scomparire le vecchie concezioni intorno al mondo del lavoro e se ne creano di nuove. Questa transizione avrebbe dovuto essere controllata in modo stretto in modo da non impedire a parte dei lavoratori di non uscire dal proprio settore. E invece così non fu, almeno non dovunque.

“Nei romanzi in generale la tecnologia viene rappresentata in modo paradossale – sottolinea Tiziano Toracca, docente di Italianistica all’Università degli Studi di Torino – Diventa qualcosa di mostruoso, straordinario, che sconfina un po’ nella magia”. Da una parte la scienza combatte e distrugge la magia, ma porta con sé anche un alone misterioso, intorno al quale regnano incomprensione e ignoranza.

“La filosofia si è sempre occupata della tecnologia – ricorda Ugo Volli, docente di Filosofia della comunicazione all’Università degli Studi di Torino – fin dai tempi dell’Antica Grecia c’era rispetto e commistione degli ambiti di ricerca. Questo rapporto di studio e interesse da parte degli uomini di cultura c’è sempre stato. Almeno fino all’epoca del Romanticismo, tra fine ‘700 e inizio ‘800, un periodo in cui l’attenzione per la tecnica ha preso una piega diversa. I romantici avevano in generale un atteggiamento reazionario, che contrapponeva i valori della comunità umana alla freddezza del progresso nella società occidentale, in cui prevaleva, secondo loro, la disumanità della tecnica”. Un filone anti-tecnologico diventato anch’esso un genere in senso lato, che persiste ancora oggi in molte espressioni della nostra cultura.